LA BATTAGLIA NAVALE DI BARFLEUR (30 MAGGIO 1692)Tratto da: "Venticinque secoli di guerra sul mare" di Jacques MordalL 'avvicinamento si effettua lentamente. La brezza è debole ma da libeccio, ed è Tourville che ha il vantaggio del vento. Se rifiuta il combattimento, Russell non potrà mai avvicinarsi a portata di tiro nè manovrare per accerchiarlo. Se viene alla puggia è la quasi certezza di una disfatta, gloriosa forse, ma totale. E la morte di migliaia di marinai, la perdita di tante navi!
Tutto ciò ha certamente avuto un peso nelle sue riflessioni. In ogni caso, meno dell'obbedienza agli ordini, meno anche dell'affronto fatto alla sua persona e perciò all'intera Marina, e della irresistibile sete di quel gusto di grandezza che dovrà insegnare al re di Francia che cosa può attendersi dai suoi marinai.
E senza sollecitare il parere di nessuno, senza riunire il consiglio di guerra, « impegnò il nemico furiosamente, traversando il proprio vascello a quello dell'ammiraglio inglese ».
Come la flotta alleata, anche quella francese è articolata in tre squadre di tre divisioni. La squadra bianco-azzurra costituisce, all'estremità meridionale dello schieramento, l'ala destra; quella bianca il centro, e quella azzurra, a nord, la retroguardia: l'unica differenza sta nel numero.
La squadra bianco-azzurra, condotta dal marchese d' Amfreville da Nesmond e da de Relingue, ha soltanto 14 vascelli da opporre ai 36 olandesi. Al centro con la squadra bianca, Tourville, fiancheggiato dalle divisioni di Villette-Murray e di Langeron, ne ha 16 contro i 31 della squadra rossa britannica. Alla sua sinistra, Gabaret, comandante la squadra azzurra, e i suoi ammiragli in sottordine Panetie e Coetlogon, ne allineano soltanto 14 contro i 32 di Ashby.
Non importa! Al segnale del comandante in capo, uno solo è l'ordine impartito dai 44 capitani a bordo delle 44 navi francesi: « Vieni alla puggia! ». L 'armata francese avanza col vento in poppa sulla cresta del proprio destino, « con una risolutezza ch'è stata rilevata da tutti i suoi avversari » i quali, proprio, non si capacitano. L'ammiraglio francese ha forse perduto ogni senso comune a impegnarsi in quelle condizioni quando gli sarebbe tanto facile evitare il combattimento « e avrebbe parecchi buoni motivi per farlo? ».
A meno che... Il dubbio si fa strada nelle menti. Tutto questo nasconde forse una trappola? Quelli fra gli Olandesi ch'erano a Beveziers due anni prima cominciano a pensare che Herbert quella volta li aveva un po' « mollati in bando ». Non ci sarà stato del vero in tutte quelle voci che circolavano ultimamente sulle coste meridionali d'Inghilterra, e Russell, non si preparerà a tradire in una sola volta Guglielmo e l'Olanda per unirsi a Tourville contro van Almonde?
Rassicuratevi, valorosi Olandesi: non c'è tradimento. È un combattimento leale che vi si offre; e Tourville conta solamente sui propri uomini. Meglio ancora: i marinai inglesi stessi hanno risentito l'affronto fatto alla loro lealtà... Carter, quello stesso che più di ogni altro era stato sospettato, ne darà stasera la misura quando, mortalmente ferito, griderà prima di morire al suo capitano: « Battetevi fintanto che la nave resterà a galla! »
A Beveziers, Herbert aveva lasciato che la sua divisione d'avanguardia s'impegnasse prima che il corpo di battaglia fosse abbastanza vicino per appoggiarla. Tourville non cadrà in questo errore, ed è tutta « a un tempo "stavolta dal settore nord-nord-ovest si precipita con cinque navi della sua divisione fino allora relativamente risparmiate, per dare il cambio al suo comandante contro il centro britannico, « in the most devoted manner, con la piu alta dedizione ».
All'ala sinistra francese, meno prontamente schieratasi perchè il vento era mancato alla divisione Panetie per portarsi a distanza di tiro, e dove alcune navi inglesi non avevano avversari davanti a se, le cose si presentavano meno bene.
Girando a maestro, la brezza favoriva il movimento agli alleati la cui squadra azzurra, con tutta la tela a riva, si butta nel varco creatosi fra Gabaret e Panetie. Sono quasi una trentina, e le tre navi di Panetie sarebbero state perdute in partenza e senza alcun beneficio per il resto della flotta francese se il loro comandante non avesse, molto intelligentemente, presa la decisione di ripiegare verso sud-ovest. Perso per perso, se riesce ad attirare Ashby lontano dal centro della lotta, sarà sempre un peso di meno sulle braccia di Tourville.
Il calcolo si rivela esatto. La squadra azzurra inglese al completo si lancia all'inseguimento, e per quattro ore d'orologio Panetie ha la soddisfazione di portare a spasso trenta vascelli nemici « che avrebbero meglio da fare altrove », allontanandoli dall'azione senza mai lasciarsi accostare troppo da vicino. Alla fine i tre compari si ritroverrano quasi a contatto con l'avanguardia che sbarra la rotta agli Olandesi.
Ciò non toglie che nel primo pomeriggio l'accerchiamento ricercato da Russell fosse sul punto di realizzarsi, come si può facilmente dedurre dallo schema tracciato da un testimonio della battaglia e ritrovato da Toudouze che l'ha riprodotto nel suo libro.
In simile situazione non restava a Tourville altra speranza se non nel tentativo di sfondamento del centro della linea inglese sul quale furiosamente picchiava fin dall'inizio dell'azione. Tutto si svolge in ogni caso come se questa fosse effettivamente la sua idea, e la lotta, in questa specie di calderone, assumerà un'intensità drammatica.
Intorno al
Soleil Royal, otto o nove vascelli del corpo di battaglia francese, agli ordini immediati di Tourville e Villette, fanno prodigi contro un nemico di gran lunga superiore. Ecco Chateaumorant nipote del comandante in capo, col suo
Glorieux dalla gabbia ornata della croce di Malta, l'impeto del quale sarà rilevato dallo stesso nemico; ecco Forbin, il cui valore al fuoco gli fa perdonare la presunzione e il temperamento geloso: la sua
Perle perderà nel combattimento un terzo dell'equipaggio ma rientrerà sana e salva.
Ed ecco ancora
l'Ambitieux di Villette, che strapazza brillantemente il
Royal Sovereign di Oelawal; e la
Couronne del cavaliere di Montbron; il
Conquerant, ecc.: non si può citarli tutti. Se li ricorderanno bene gli Inglesi: « il loro
Chester esce a brandelli dalla linea di battaglia; la
Eagle di John Leake ha settanta morti, il doppio di feriti, bompresso e trinchetto abbattuti ».
Ma anche tra i Francesi, l'
Henry e il
Fori, completamente sconquassati, devono disimpegnarsi a gran colpi di remo.
Alla retroguardia, Coetlogon, contrammiraglio della squadra azzurra, si rende conto del mortale pericolo nel quale si trova il suo comandante: « Amici » grida all'equipaggio « andiamo a salvare quel coraggioso o a morire con lui ». E, ignorando gli ordini di Gabaret suo superiore diretto, vola in aiuto di Tourville con il
Arlagnifique e il
Prince (de Bagneux) della divisione Langeron. Qualunque fosse il sentimento che la ispirava, la sua fu in verità una grave imprudenza, che un varco si sarebbe aperto nella linea.
Ma i capitani vicini lo hanno compreso e, sempre come una banda di fratelli, si affrettano a colmare il vuoto e rettificare il momentaneo disordine verificatosi nello schieramento francese.
Quando la mischia fu al colmo, la visibilità ch'era già mediocre si ridusse talmente che in breve nessuno sapeva più su chi tirava e i cannoni dovettero tacere proprio nel momento più critico per Tourville, quando il contrammiraglio della squadra ròssa britannica, Cloudesly Shovell, stava superando il Soleil Royal e i suoi vicini immediati.
La provvidenziale sosta salvò almeno momentaneamente Tourville, e quando tornò la brezza a dissipare il fumo si avvicinava già il momento dell'inversione di marea. Accedendo alle proposte di Villette, Tourville ordinò all'armata di dar fondo alle ancore mentre il flusso trascinava il nemico verso est.
La squadra azzurra inglese tuttavia comprese la manovra con prontezza sufficiente per riuscire anch'essa a dar fondo di poppa a Tourville dov'era stata trascinata dall'inseguimento a Panetie. Cosi, sebbene stretti meno dappresso, i Francesi restavano presi fra due fuochi, e per di più in 36 perchè i cinque vascelli di Nesmond e i tre di Panetie venivano a trovarsi troppo lontani dall'azione malgrado i loro sforzi per avvicinarsi.
Questo intermezzo non durò a lungo. Completando il suo mezzo giro d'orizzonte, il vento si mise a grecale spazzando gli ultimi brandelli di nebbia. Il cannoneggiamento riprese furioso e gli Inglesi erano manifestamente convinti che questa volta l'avrebbero fatta finita. In effetti tutto pareva perduto per i Francesi, e bisogna riconoscere che su certi vascelli vi fu un momento di panico: molto breve e molto rapidamente represso.
I Francesi restituivano colpo su colpo. Approfittando del vantaggio del vento, Russell lanciò allora i suoi brulotti. Il
Soleil Royal dovette evitarne non meno di cinque, destinatigli personalmente, nessuno dei quali riusci a raggiungerlo: uno grazie a un'accostata, un altro a prezzo di un'ancora sacrificata tagliandone il cavo appena in tempo, un terzo agganciato abilmente dalle lance... Villette, dal canto suo, dovette evitarne tre. Era caduta la notte; i Francesi avevano la meglio. Non avevano perduto una sola nave; non una aveva subito avarie gravi.
Degli avversari, la squadra rossa era in ritirata; poi la squadra olandese; e infine quella di Ashby che, trovandosi dietro a Tourville, ebbe la malaugurata ispirazione di lasciarsi trascinare dalla marea nei varchi della linea francese. E venne allora la giusta ricompensa a tanto coraggio dimostrato nel corso di questa dura giornata.
Sfilando lentamente tra le navi francesi e presentandosi esattamente d'infilata, l'uno dopo l'altro gli Inglesi si videro fatti segno alle compatte salve francesi sparate a bruciapelo, senza parlare del fuoco scatenato dalla moschetteria. « Non venne sprecato un solo colpo! » Particolarmente preso di mira fu il
Royal William, ammiraglia di Shovell, sul quale il
Soleil Royal, il
Magnifique e il
Saint Philippe concentrarono un infernale tiro che lo lasciò demolito. Il Duke, trattato allo stesso modo, perdette il suo ammiraglio, Carter, e il suo comandante.
L'oscurità s'ispessiva lentamente. La luna si era già levata quando, per quella sera, la battaglia cessò definitivamente. Novantanove vascelli anglo olandesi si erano sforzati per quasi quindici ore di annientarne quarantaquattro francesi.
Eccoli invece abbandonare il campo di battaglia agli avversari stremati, certo, ma ancora tutti a galla, ancora tutti in grado di tenere il mare e di battersi; perfino il glorioso
Soleil Royal dal quale, secondo la testimonianza di un Inglese, « il sangue scorreva da tutti gli ombrinali »,
« Tourville and his Captains had made a most gallant defence and had, indeed, done wonders... Had Borfleur had no morrow, the action would have been a French triumph... Tourville e i suoi capitani avevano opposto la più valorosa difesa e, in verità, avevano fatto meraviglie...
« Se Barfleur non avesse avuto un indomani, sarebbe stata un trionfo francese... » In questi termini, lo storico della Marina britannica presenta la battaglia di Barfleur di cui in Francia si osa appena parlare. Purtroppo, ci fu un indomani. Non poteva non esserci: la costa francese della Manica, soprattutto ne] XVII secolo, prima dell'allestimento di Le Havre e di Cherbourg, era la più inospitale che ci fosse. A che serviva, per quella squadra gloriosamente pesta, trovarsi in prossimità delle proprie coste, se non le offrivano alcun riparo per medicare le piaghe, tamponare le falle, riassettare le attrezzature, sbarcare i feriti e rifornire i depositi per tre quarti vuoti? ...
Certamente, si potrà dire; ma gli altri? Per gli alleati, lo scontro era stato certo pesante, per gli Inglesi, soprattutto, poiché le navi di Almonde non avevano fatto granché. Una fra le più provate, la
Zeven Provincien, aveva avuto soltanto diciannove morti e quattordici feriti gravi. Russell invece aveva avuto disalberate e sforacchiate una buona ventina delle sue, buone ormai soltanto per esser rimorchiate in Inghilterra. Ma con tutto ciò, con le rimanenti ne aveva ancora abbastanza per far danni, e fra i suoi, come fra gli uomini di Tourville, non si dormi affatto quella notte. Calafati e carpentieri s'affaccendavano a tamponare le falle con lastre di piombo e a puntellare le alberature, mentre chirurghi e cappellani si prodigavano presso i feriti nelle batterie.
Le perdite francesi ammontavano a 1.700 uomini fra morti e feriti: tre volte inferiori a quelle degli alleati ai quali venivano attribuiti 2.000 morti, fra i quali due ammiragli, e 3.000 feriti.continua . .